Jaroslav Rudiš

Un brano scelto da:

Helsinki, dove il punk si è fermato

Traduzione di Tiziano Marasco

Sex Pistols

Si facevano chiamare Sex Pistols, anche se la band al loro tempo era morta da parecchio e anche se erano solo due. Ole e Frank. Sid e Rotten. Si facevano chiamare Sex Pistols e, quando Ole ci pensa, oggi, lo trova un po’ imbarazzante, ma non ci può far molto. Non suonavano. Semplicemente mettevano della musica al massimo in camera di Ole e si scalmanavano facendo finta di tener in mano chitarre e microfoni. Il letto e la scrivania erano il loro palco e i vasi di fiori che la mamma di Ole annaffiava regolarmente erano le ragazze arrapate tra il pubblico. Pestavano i piedi e saltavano per la stanza dove si dice che alla fine della guerra fosse stato ferito gravemente un soldato americano e Ole giura di aver visto, almeno un paio di volte durante la notte, la sua ombra nel corridoio alla ricerca di qualcosa, il che in questa città è una costante.

Far finta di essere un gruppo li divertiva più dei modellini ferroviari. Più di un’autopista. Più che i dipinti di isole e arcipelaghi fantasiosi, ma questo lo faceva solo Ole, perché Frank o il Praghese probabilmente non ci avrebbero mai capito nulla.

Tramite il fratello maggiore di Frank, Torsten, in breve riuscirono a procurarsi un gran numero di dischi e soprattutto di cassette, perché il mondo al tempo girava attorno alle cassette che si riproducevano facilmente. Così ascoltavano punk. E la new wave tedesca. E ancora punk e i Damned e i Ramones e gli Exploited e i DAF e i Toten Hosen.

ll fratello di Frank diceva loro che i Sex Pistols non sapevano suonare nulla e alla fine erano diventati delle vere star. Avevano soldi e tutte le ragazze del mondo erano pronte a fiondarglisi nel letto, fino a quando ce n’erano così tante che il letto si è sfondato e la band si è sciolta.

E proprio così avrebbero fatto anche loro.

Sarebbero diventati delle star. Non sarebbero stati capaci di suonare niente e tutte le ragazze del mondo sarebbero state pronte a fiondarglisi nel letto. O almeno un paio di compagne di classe. Certo, per cominciare sarebbe stato più che sufficiente: Mimi gliel’avrebbe data. E Sandra e Janette anche. E alla fine anche Christiane quella che aveva una storia con uno del liceo di tre anni più grande ed era una tipa così superba che si sarebbe meritata che qualcuno le rompesse il righello sul suo celestiale culo. E gliel’avrebbe data. Tutte avrebbero voluto stare con loro e si sarebbero messe in coda e loro lì a scegliersele. E così avevano fondato la prima vera band sul serio. Volevano chiamarla Sex Pistols Zwei, ma alla fine avevano deciso di chiamarsi solo The S. Avevano quindici anni e a scuola erano ancora compagni di banco.

Facevano le prove in una cantina della casa che apparteneva alla nonna di Frank che in quel buco aveva atteso la fine della guerra. Sopra la porta c’erano ancora fori di proiettile di quando a uno era partita una smitragliata per uno sfortunato caso.

Si erano procurati una chitarra e un basso vecchi. Invece degli amplificatori usavano un vecchio registratore. E poi cercavano di trovare ancora qualcuno ma la cosa non era mai andata in porto. E così, sono sempre rimasti solo due. Ole alla chitarra, Frank al basso e alla voce. Come batterista alla fine la miglior scelta si era rivelata essere un distributore automatico, era sempre affidabile e non aveva mai niente da ridire. Così avevano deciso di cambiare nome, da The S ad Automat.

Emanuel Frynta (1923-1975)

La storiella d’osteria

- intervento radiofonico -

(Hospodská historka, in Zastřená tvář poesie, NFK, Praha, 1993)

traduzione di Valeria De Tommaso

Vi sembrerà quasi insensato parlare a un tempo di poesia e d’osteria. Vi sembrerà forse addirittura forzato – e io non posso darvi torto. È proprio strano andare a cercare la poesia in osteria.

Ora però vi chiedo di avere un po’ di pazienza e vedrete che ci capiremo meglio di quando abbiamo incominciato.

Voglio parlare di un tipo di racconto aneddotico che tutti conoscete, ma che la teoria letteraria finora non ha mai definito, del quale non ha mai scritto e a cui non ha mai dato un nome. Si tratta di un genere letterario particolare, come lo sono per esempio l’epigramma, lo scongiuro o la favola. Si tratta di una forma letteraria particolare che possiede delle caratteristiche definite vere e proprie, che ha le sue leggi formali e una sua funzione specifica. La cosa più strana è che fino a oggi non è mai stata oggetto di studio, sebbene essa sia cosa frequente e comune, anzi ordinaria, direi.

Probabilmente proprio per questa sua frequenza e ordinarietà non le è mai stata data la dovuta attenzione. Succede spesso che le cose più comuni rimangano inosservate, perché non si fa loro caso e non attirano il nostro interesse, perché non sono così determinanti e per questo in apparenza poco interessanti.

Per farla breve, stiamo per parlare di un genere ancora mai studiato e registrato, un genere di letteratura orale, un genere che io ho chiamato «la storiella d’osteria».

Per iniziare ascoltate almeno un esempio.

Immaginate d’essere in una qualche stazione di campagna. Immaginate d’essere in mezzo a un gruppo di gente che aspetta il treno in ritardo. Per passare il tempo vi sedete e iniziate a chiacchierare. Il discorso passa da un argomento all’altro e ognuno, quando capita, dice la sua.

Quando si arriva a parlare di motociclette e di incidenti sulla strada, un tipo si intromette e:

«Una volta portavo mio fratello col sidecar. La gamba sinistra non l’avevo più e al suo posto c’avevo una protesi di ferro. Allora ce ne andiamo quando di colpo si stacca la carrozzina, e siccome c’avevo la protesi appoggiata alla stanga che unisce il sidecar alla motocicletta, per l’urto se ne vola la protesi e pure i miei pantaloni di pelle. Mio fratello va a finire giù in un fosso, io per terra, ma la protesi vola via andando a finire sulla strada proprio davanti a due signore che venivano dal mercato. La prima, quando la vede, sviene. Visto che non mi era successo niente, saltellando vado a prendere la mia protesi, ma quando l’afferro anche quell’altra più coraggiosa finisce a terra…»

Ecco dunque – questa storia, questo breve episodio della protesi staccata – questo è un esempio di storiella d’osteria.

Credo già che più o meno capiate a cosa mi riferisco. Da soli potete facilmente pensare a tanti altri esempi simili: basta richiamarli alla mente. Li conoscete molto bene perché ciascuno di noi una serie infinita di volte ha preso parte a un discorso nel quale confluivano i più diversi accadimenti della vita, ciascuno di noi ha una riserva di storielle comiche e meno comiche realmente accadute.

Però: fate attenzione – raccontare un fatto vissuto non ne fa automaticamente una storiella d’osteria e soprattutto: non tutti sono capaci di fare di quel racconto una storiella d’osteria. Ci può accadere qualcosa che crediamo essere incredibilmente comica e interessante – eppure non ne viene fuori altro che una comune esposizione, noiosa descrizione e pedante informazione. La cosa in sé  non si esaurisce nel semplice raccontare, bensì in qualcosa di molto di più, e cioè nello stile, nell’elaborazione e nella resa formale – in forma letteraria, che di genere letterario si tratta.

Affinché diventi una storiella d’osteria dobbiamo dare al racconto lo spirito, la forma e la funzione del genere.

Iniziamo con le caratteristiche più esteriori del genere; pensiamo al modo in cui noi stessi raccontiamo le storielle d’osteria. Innanzitutto va subito chiarito che si sta parlando di un fatto realmente accaduto, affinché nessuno dubiti della sua veridicità. Questa chiarificazione iniziale è in sé l’affermazione che si tratta di una nostra personale esperienza. Se parliamo di qualcosa che non è accaduto a noi personalmente, o della quale non siamo stati neanche testimoni, possiamo tranquillamente dire che la storia riguarda qualcuno che conosciamo bene o che l’abbiamo sentita da qualcuno cui si può fare affidamento, qualcuno al quale possiamo credere. Ben sapete come appaiono certi esordi. Diciamo, per esempio: «Mentre me ne stavo una volta “all’Agnello” per il tè del pomeriggio, arriva il vecchio Karásek…» eccetera, eccetera, e il discorso già si apre come una notizia del tutto attendibile. Oppure: « Con mia sorella al corso di ballo andava una certa Petránková». Di nuovo: la garanzia di veridicità è assicurata. Oppure possiamo anche raccontare una storia che abbiamo sentito dalla bocca di chi l’ha data per vera. Pe esempio: «Pepa Strnádek mi disse una volta, mentre ce ne andavamo insieme a Lužnice, che sua zia conosceva un certo macellaio di Úval…» e anche così le garanzie sono messe in tavola. La storiella l’abbiamo da un amico e noi ce ne facciamo garanti al posto suo, il che risulta più facile utilizzando anche la forma famigliare del suo nome.

Non parlerei dell’incipit delle storie in maniera così precisa se fosse solo una mera formalità senza ulteriori significati. Questi incipit hanno infatti una loro importanza: funzionano come vere e proprie formule esorcizzanti. Dicono: ciò che state ascoltando è un episodio di vita, è un fatto reale, non è una cosa inventata. E proprio in questo la storiella d’osteria si differenzia dall’aneddoto, con il quale ha alcuni elementi in comune e con il quale confina come genere. E aggiungo subito, per chiarirci, che l’aneddoto è, per così dire, un genere elementare e trasferibile, d’intento artistico e astratto, è in fin dei conti un modello o un esempio; il suo rapporto alla storiella d’osteria è simile a quello di un’equazione generale con il calcolo concreto dei numeri specifici. L’aneddoto può iniziare con: «Un macellaio fa a un idraulico…» e via dicendo. La storia d’osteria, invece, lo stesso contenuto commediale lo esprimerebbe suppergiù così: « Una volta conoscevo un certo Sykora che faceva il macellaio…» e così via. In breve, non dovrebbe essere anonima.

Bene, ora siamo d’accordo su come la storiella d’osteria inizia: e andiamo avanti. Soffermiamoci perciò sul suo oggetto, in cosa consiste il suo contenuto.

Se paragoniamo tra loro una serie di storielle d’osteria, ci accorgiamo che la risposta non è difficile: il materiale viene preso dal mondo empirico, dalla più vicina sfera dell’esperienza. Già la premessa iniziale ne aveva fatto cenno. Non viene preso in considerazione ciò che è inventato, cioè: niente va presentato come un’invenzione. Tutto deve essere garantito come autentico – in questo genere non esiste nulla al di sopra dell’autenticità: essa stessa è il valore più alto. È vero che qui e là si ritrovano elementi lontani nel tempo e nello spazio, ma si tratta soprattutto di eccezioni che servono a confermare la regola. E la regola è: mantenetevi ben stretti a quanto vi sta intorno, nello spazio temporale della vostra esistenza.

Chiaramente, ad avere un certo fascino sono le storielle più fresche, se non di oggi, di ieri. Ascoltare questo tipo di storielle è per gli astanti un vero colpo di fortuna. Proprio chi si trova ad ascoltarle per primo, così belle fresche, ha poi la possibilità di metterci del suo e inserirle direttamente nel proprio repertorio come nuovo numero.

È chiaro sì, che vanno in un repertorio – perché ciascuno di noi possiede un proprio repertorio fisso. Chi più ricca, chi meno, ognuno ne ha una riserva pronta per ogni occasione. Le storielle d’osteria infatti possono essere improvvisate solo in parte. Si possono modificare a seconda dell’umore o del bisogno, ma la base è quella e non si cambia. Tutti abbiamo in testa una personale piccola antologia di storielle d’osteria, il più delle volte già ripetute, già sperimentate. A volte le raccontiamo meglio, altre peggio, ma la sostanza rimane la stessa.

E un’altra cosa, pure importante: la storiella d’osteria, come genere, ha i suoi guastamestieri e i suoi maestri. Ci sono persone che addirittura troneggiano sul genere. Sia perché ne conoscono una quantità incredibile, sia perché sono in grado di padroneggiare l’interpretazione e la regola del genere. Sono dei virtuosi: qualsiasi cosa tocchino, riescono a trasformarla. Sono come il leggendario re Mida che con le sole mani trasformava qualsiasi cosa in oro. Individui così geniali facilmente poi vengono sospettati di slealtà. Provate a raccontargli così per caso un’inezia qualsiasi o una seccatura che vi è capitata, e loro nel giro di due mesi ve la traducono in una forma commediale di tutto rispetto, nel pieno spirito del genere.

Però la maestria non si esaurisce nel semplice racconto.

Si tratta di questo: imparare a saper bene interpretare «Parli del diavolo e spuntano le corna», oppure «Cavar sangue dalle rape» non è tempo perso. I proverbi bisogna saperli vendere. Anche le storielle d’osteria. Il saperle poi usare al momento giusto, e nel modo giusto, corona l’opera. Perché: la storiella d’osteria non è quasi mai da sola, l’isolamento non le fa bene. In genere la ritrovate nei capannelli di persone, nei gruppi dove una storia chiama e provoca la seconda, la seconda la terza e così via. Se poi si ritrovano insieme maestri e intenditori ne vien fuori la danza delle storie, e vi assicuro che è l’ottava e l’ultima delle meraviglie.

Come vedete, siamo quasi arrivati alla fine. Direi che quasi ci capiamo. Eppure ancora non abbastanza.

Non abbiamo ancora accennato infatti al modo di elaborare il materiale empirico. Abbiamo visto come la premessa iniziale e con essa la personalizzazione e la non anonimità siano per la storia garanzia di autenticità. Persuadono l’ascoltatore che si tratta di qualcosa di vissuto, di pura realtà e verità. Noi però sappiamo che anche con tutte le garanzie del mondo la veridicità non è una cosa così semplice. La storiella d’osteria non registra come un protocollo il materiale empirico, non è la manifestazione oggettiva di un documento e del banale realismo. In sostanza, la sua poetica è libera. Essa foggia la sua materia: ignora ciò che non è essenziale, libera il racconto da tutte le lungaggini e, secondo il bisogno, pressoché arbitrariamente gonfia ed esagera. Mette in primo piano i momenti grotteschi, ama i contrasti e le sorprese, in poche parole tratta l’argomento come da commedia, lo manipola come semplice materiale, come occasione per creare.

Lasciatemi citare un’altra storiella nella quale l’iperbole grottesca è decisamente evidente, nella quale la sostanza iniziale è portata sul piano teatrale con ardire quasi estremo. Ecco come si presenta:

«Certa gente fa veramente onore e merito al mondo! Come quel mio amico Řimskej – un moravo di Haná del 54°, militare con tanto di spalline, che a nessuno osava dirgli niente e neanche guardarlo! Eravamo una cinquantina all’osteria e uno ce l’aveva con me – e questo amico mio, il famoso Řimskej, rovescia il tavolo, spacca il lampadario e in un attimo si scatena il pandemonio. Quattro guardie creparono all’ospedale, gli altri saltarono dalla finestra. E lui che le dava e le suonava, un putiferio, e all’ostessa che s’era immischiata fece saltare la dentiera. E solo quando i poliziotti fecero arrivare i pompieri che gli spruzzarono l’acqua negli occhi, solo allora Řimskej, quel famoso moravo di Haná, si sfiancò. Ma in guardina il suo spirito s’accese di nuovo, segò le catene, di quelle che si usano per i buoi, staccò gli stipiti e con quelle travi gliele dette ai carcerieri.»

Se vi sembra che questa storia, anche se presentata come vera, sia nella sua sostanza empirica fin troppo esagerata, pensate alle vostre storielle e al loro rapporto con quanto realmente successo. Riconoscerete che anche voi esagerate proprio così, che prendete simili libertà per gonfiare e ingigantire. E soprattutto: vi accorgerete che queste iperboli, queste esagerazioni teatrali alla fin fine vi appaiono più che naturali e che non sono in contrasto con la vicenda vera e propria.

E così siamo arrivati al punto in cui iniziamo a parlare non solo della storiella, ma anche della poesia. Cos’è infatti questa stilizzazione teatrale? Non è forse semplicemente un determinato procedimento poetico di cui inconsapevolmente facciamo uso? In fondo il processo poetico sta proprio lì: per mezzo di una consapevole organizzazione estetica dell’atto del raccontare accomodiamo il messaggio fondamentale della storia. Con questa commedialità infatti non mascheriamo la verità della cosa, noi non la vogliamo negare – al contrario, in questa maniera noi cerchiamo e troviamo questa verità, la più reale delle realtà, noi arriviamo al suo nocciolo, noi dissotterriamo il suo senso e la sua sostanza. La storiella d’osteria come tipologia letteraria, come forma e poetica: essa è per noi uno strumento estetico per guardare e fare nostra la realtà, è per noi uno strumento addetto alla sua comprensione e chiarificazione.

Perché poi si è creata tale forma? Da dov’è venuta fuori? Perché poi esiste e qual è il suo significato?

Il genere della storiella d’osteria serve a farci divertire meglio? Sì, essa esiste anche per questo e forse sarebbe proprio lì la sua giustificazione. E se pure servisse solo al divertimento, sarebbe un’invenzione con un suo senso e un suo valore. Essa comunque non è finalizzata al solo svago e divertimento, il suo significato non si esaurisce solo in questo.

E in che cosa consiste allora il suo senso primo? Presto detto:

Nessuno di noi fa la vita che desidera o che si immagina. Le nostre vite sono tutt’altro che un semplice, preordinato cammino. Di sicuro abbiamo in mano una parte della nostra esistenza e sta solo a noi come condurla – ma ovviamente, una parte notevole della nostra vita sfugge alla nostra volontà. Sappiamo e percepiamo bene che da questo punto di vista siamo di continuo esposti a una realtà da noi indipendente e con noi spesso per nulla indulgente. Le nostre vite sono una serie di scontri continui tra i nostri desideri e la cieca casualità, tra i nostri programmi e l’imprevisto. Che lo vogliamo o no, ci imbattiamo inevitabilmente in una parola: destino. Non la reputiamo cieca autorità, piuttosto parliamo più volentieri di dati di fatto, e con questo intendiamo tutto ciò che è più potente di noi e che ci comanda secondo la sua volontà, intendiamo tutto ciò con cui dobbiamo invariabilmente confrontarci. Così è, questa è la condizione umana.

Per fortuna a questa condizione appartiene anche ciò che l’uomo ha inventato per fra fronte alle imposizioni del destino, le cose che da solo ha messo in gioco per rafforzare e migliorare la propria posizione, per sentirsi più forte e meno vulnerabile. Tra le scoperte più preziose e fondamentali dell’uomo c’è la parola. Per non essere del tutto nudo e indifeso, l’uomo si è ricoperto di parole, si è armato di parole. La parola si trova ora tra l’uomo e il suo destino: l’uomo non è solo. E la parola impedisce che le cose arrivino all’uomo nella loro cruda indifferenza, che lo chiamino per caso e senza scelta. Con l’aiuto della lingua l’uomo fa da solo le sue scelte e rinunce – diciamo meglio: se non può scegliere le cose da solo, almeno dà loro un senso. Le parole rendono possibili quelle scelte che il peso eccessivo del destino gli nega.

La storiella d’osteria realizza oltremisura questa preziosa funzione e come strumento poetico trasferisce il materiale di vita dalla sfera dell’esistenza al piano della teatralità. I dati empirici, gli avvenimenti vissuti – essa li traspone con un ampio movimento in un’immaginaria scena del grottesco, del mito, del sogno.

In questa maniera le difficoltà vengono alleggerite, i dolori vissuti non feriscono più, le sciagure vengono sottratte alla sfera di gravitazione della crudeltà e diventano un’immagine sopportabile. La perspicace poetica della storiella d’osteria smorza ed elimina tutto ciò che pesa e duole e con l’ironia della commedialità neutralizza ciò che ci ferirebbe come un trauma. E, di nuovo, al contrario – gli avvenimenti piacevoli e allegri nel racconto si ingrossano, si trasformano in leggende amene e miti gagliardi che illuminano con il proprio splendore ogni momento in cui vengono evocati.

Così ci portiamo dietro i nostri vissuti non come materia grezza della cieca sorte, bensì in forma di piacevoli raffigurazioni poetiche che non ci tormentano, che ci fanno sentire bene, e nelle quali alla fin fine ritroviamo la nostra riserva d’oro che ci conferma che ad avere potere sulle cose non è tanto il caso quanto noi stessi.

Ma basta parlare di questo. Ho già l’impressione che ci siamo avvicinati fin troppo a quello stato d’animo che è alquanto estraneo al genere in questione, e per tornare il più velocemente possibile al nostro argomento, dovremmo subito richiamare alla mente qualcosa di allegro. L’ideale sarebbe riuscire a proiettare una comica del cinema muto. Per esempio quel meraviglioso episodio di Laurel e Hardy di quando vanno a fare una gita con le loro signorine. E che per strada finiscono in un coda di macchine senza potersi minimamente muovere. E come alla fine arrivano a litigare con quelli della macchina dietro e incominciano a demolirsi le auto a vicenda. Conoscete sicuramente questo film e sapete come va a finire. La distruzione vicendevole delle auto si propaga piano piano come un’infezione alle altre auto, gli autisti e i viaggiatori se le danno di santa ragione e ne viene fuori una delle più belle risse che uno si possa immaginare, ne viene fuori una meravigliosa devastazione d’auto che possiamo solo sognarci.

Questo episodio dei due famosi comici – è proprio la realizzazione filmica di una storiella d’osteria. L’oggetto o il soggetto era ancora decisamente reale. Immaginiamocela così, che due autisti si scontrano e che uno dei due abbia l’impressione d’aver subito ingiustamente un grosso danno. E quando per la rabbia vuole ridurre l’auto dell’altro nelle stesse condizioni della sua ne vien fuori una demolizione e distruzione reciproca. Quello che nel film c’è in più è l’esagerazione, la deformazione poetica nello spirito del genere.

E io a questo vorrei aggiungere solo una cosetta: che proprio questa esagerazione ha reso l’episodio quel che deve essere. Punto primo: invece del ricordo i partecipanti hanno tenuto a mente la storia comica per il piacere proprio e degli altri presenti. Punto secondo: dalla banalità è venuta fuori la moralità, poiché proprio l’ingrandimento grottesco dà debitamente a intendere che sotto l’impulso dell’istinto danneggiare in ugual misura anche l’auto del rivale è qualcosa di moralmente inaccettabile.

Non a caso ho citato una comica dei tempi del muto: le opere di quei tempi infatti sono spesso una diretta espressione dello spirito e della poetica della storiella d’osteria. Non per niente l’eroe per antonomasia del film muto è Charlie di Chaplin, l’eterno pasticcione. La storia d’osteria è dunque un valido metodo di rivincita dai guai. È una forma che la poesia ci offre per non sentirci così soli davanti ai guai.

Conciliare la storiella d’osteria con il concetto di poesia non è difficile; più difficile sarebbe escluderla dalla poesia, perché proprio le caratteristiche estetiche, quelle piccole, banali, semplici, hanno una vitalità tale da non farsi buttar fuori da niente e da nessuno. E in particolar modo non hanno assolutamente l’intenzione di venir meno al loro compito solo perché modesto. Per noi la storia d’osteria deve diventare immagine, comica cinematografica – per far sì che anche in noi il poeta abbia l’occasione, pur non scrivendo sonetti, di depositare qua e là nella nostra memoria al posto dei ricordi spiacevoli una storiella d’osteria.

Jan Hanč

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Avvenimenti

Traduzione di Davide Sormani

Události (1948)

Cammino la sera

Cammino la sera cammino per la città estranea
i palmi ben distesi
respiro l’alito delle acacie
mi inchino a portali di case estranee
il crepuscolo cammina con me per la città estranea
stende sul cielo una tonalità verde
gli occhi si fanno scuri il cuore si ferma
dietro il bancone di un buffet
cammino la sera cammino per la città estranea
mi seggo nell’ufficio di cambio dei sentimenti
per bere la vita che scorre
sentir suonare l’orchestrina il Credo di Weber
il crepuscolo cammina con me per la città estranea
si sistema cappello e cravatta un gobbo
davanti allo specchio dorato del buffet
e un soldato abbraccia una ragazza larga già
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii[alla cintura
cammino la sera cammino per la città estranea
fiori di seta nei viali
sogni che non finiscono mai
moltiplicano l'estraneità delle porte chiuse

Jdu večer

Jdu večer jdu cizím městem
dlaně mám široce rozevřené
dýchám dech akátů
klaním se portálům cizích domů
soumrak jde se mnou cizím městem
nanáší na sebe zelený tón
oči tmavějí srdce se zastaví
za pultem v automatu
jdu večer jdu cizím městem
usedám v směnárně citů
abych pil proudící život
slyšel hrát šraml Weberovo Vyznání
soumrak jde se mnou cizím městem
klobouk a kravatu rovná si hrbáček
před zlatým zrcadlem automatu
a voják objímá šíroké děvče už v pase
jdu večer jdu cizím městem
hedvábné květy na bulvárech
sny nikdy nekončící
násobí cizotu zavřených dveří

No

Oggi no e domani ancora no
non era non è mio
il riconciliarsi il cicatrizzare il tirare il fiato
non era non sarà no
oggi no e domani ancora no

Ne

Dnes ne a zítra opět ne
nebylo není mé
usmíření zacelení vydechnutí
nebylo nebude ne
dnes ne a zítra opět ne

Festa

Ieri ceppi di legno
oggi guardiamo l’altare
ieri al vespro
qui non c’era anima viva
ora è tornato in vita il velluto liso

Hai gambe abbronzate
i tuoi gesti preziosi
la vita il riso ondeggiante

Guardiamo il parroco
grasso nel berretto ridicolo
il simbolo di gesso della vergine
e penso a Te
Glorifichiamo il Corpo di Dio

Svátek

Včera dřevěné klady
dnes hledíme na oltáře
o včerejším klekání
nebylo zde živé duše
teď ožil sešlý samet

Máš opalené nohy
svoje vzácná gesta
život vlnících smích

Hledíme na faráře
tlustého v směšné čapce
na sádrový symbol panny
a myslím na Tebe
Slavíme Boží Tělo

Perché si legano i fiori

La perversione è un privilegio più faticoso del diritto regio. Non parlo dei meriti. Non troverai due gesti uguali e dipende da Te se vuoi affliggerti per questo. Cioè  non dipende affatto da Te, guarda negli appartamenti in cui la sera tardi al ritorno da feste in giardino la gente sventola come flosce vele bagnate su un carro che corre follemente! Ascolto già da trent’anni la campana a morto, l’intrigante. La colpa non è in noi, ma in quelli che per immodestia non si identificano nella poesia. La poesia non è letteratura, quell’hashish per vecchie sdentate. Noi siamo Voi, Voi innanzitutto e molto più di noi. Non dubito del fatto che ci capiremo; nonostante la vita abbia molti sensi. Qualcosa si svolge in noi se scorgiamo un ragno, anche se non ci fermiamo a pensarci su. Non è perciò indegno dell’ingegnere meccanico provare sulla soglia di un autunno lamentoso paura per il giallo portone chiuso della Scuola Ausiliaria. Cent’altri, come quando gridi alla Città di Roccia, sono angosciati invece dalla bruttezza inquisitoria dei consumi, o da una stanza vuota con finestre aperte, da un giardino, da una lunga pioggia, dai tuoni. Da una notte malinconica, perché non hanno chi abbracciare, né hanno cosa aspettare, tranne un mattino che però per ora è incerto. La vita rimbomba regolare in ignoti passi pesanti e un’amante insensibile, per la quale perdono il sonno, sospirerà alla fine il suo servile Sì tra le loro braccia.

Proč se váže kvítí

Úchylnost jest obtížnější výsadou než královské právo. Nemluvím o zásluchách. Dvě gesta nena-lezneš stejná a na Tobě záleží, chceš-li nad tím truchlit. Totiž na Tobě vůbec nezáleží, pohleď do příbytků, v nichž ze zahradních slavností pozdě večer vracející se lidé vlají jako spliklé mokré plachty na šileně ujíždějícím voze! Naslouchám už třicet let umíračku, intrikánovi. Vina není v nás, nýbrž v těch, kteří se z neskromnosti neztotožňují s poesií. Poesie není literatura, onen hašiš pro bez-zubé baby. My jsme Vy, Vy především a mnohem více nežli my. Nepochybuji o tom, že se domluvíme; přesto, že je život mnohamyslný. Něco se v nás odehrává, spatříme-li pavouka, i když to blíže nikdy nezkoumáme. Není proto pod důstojnost strojního inženýra, pocití-li na prahu lkajícího podzimu bázeň ze zavřených žlutých vrat Pomocné školy. Sta jiných, jako když křikneš do Skalního města, tísní zas inkvizitorská nevzhlednost konzumů, nebo prázdná místnost s otevřenými okny, zahrada, dlouhý déšť, hřmění. Těžkomyslná noc, protože nemají koho obejmout, aniž mají co očekávat, kromě rána, které je ale zatím nejisté. V nezná-mých těžkých krocích odměřeně duní život a necitelná milenka, pro kterou nemohou usnout, vy-dechne nakonec svoje oddané Ano v jejích objetí.

Ritorno

Il silenzio della notte
mentre Ti accompagnavo
lungo il fiume gelato
e la chiusa scrosciante
tornando dallo spettacolo
in onore di Markétka
mentre il Tuo volto
pallido della brina di gennaio
guardava all’altra riva
mentre la Tua anima
senza notare i miei passi
sognava
di essere rapita
dal gesto deciso di regnanti
di tetre case dormienti

Návrat

Ticho noci
kdy jsem Tě doprovázel
kolem zmrzlé řeky
a hučícího jezu
z představení
na počest Markétčinu
kdy Tvoje tvář
bledá lednovým jiním
hleděla k protějšímu břehu
zatím co Tvá duše
nevnímajíc mých kroků
snila
že bude uloupena
rozhodným gestem vládců
z chmurně spících domů

*

Talvolta ho la sensazione
d’essere un pozzo di saggezza
e constato sempre di nuovo
non ce n’è neanche un boccale da mezzo
di colore torbido e sapore ripugnante

*

Mívám dojem
že jsem studnou moudrosti
a vždy znovu zjišťuji
že je jí necelý půllitr
kalné barvy a odporné chuti

*

Strisci
tuttavia amo
le Tue ali paralitiche

*

Plazíš se
přesto miluji
Tvá zchromlá křídla

Pioggia

Piove
tutto è tristemente lucido
tutto profuma di pioggia primaverile
la solitudine di uno scroscio monotono
mi ricorda i momenti delle tue partenze
quando sei già via
e pure sei ancora da me
taci e sorridi impercettibilmente
taci
dove tutti parlerebbero a vuoto
discorri alzando il bel sopracciglio
rannicchiandoti nella fonda poltrona
con cenni di parole
gesti incerti
la calma del tuo impeto
e il silenzio
come i più grandi attori
piove
tutto è gioiosamente lucido
tutto profuma finora della tua presenza
la solitudine di uno scroscio monotono
mi ricorda il tuo sorriso e le tue lacrime

Déšť

Prší
všechno se smutně leskne
všechno voní jarním deštěm
osamělost jednotvárného šelestu
připomíná mi chvíle tvých odchodů
když jsi již pryč
a přece jsi dosud u mne
mlčíš a neznatelně se usmíváš
mlčíš
kde každý by prázdně mluvil
hovoříš zdvižením krásného obočí
schoulením v hlubokém křesle
náznaky slov
váhavými gesty
klidem své živelnosti
a tichem
jako největší herci
prší
všechno se šťastně leskne
všechno voní dosud tvou přítomností
osamělost jednotvárného šelestu
připomíná mi tvůj úsměv i slzy

Marian Palla

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Con un pelo sulla lingua
Il detective Wlapr e altri misfatti

Traduzione di Michele Sirtori

S chloupkem na jazyku
aneb Sto případů detektiva Wlapra (1999)

Caso quattordicesimo

Ero a un incrocio. Da sinistra risuonava una spara-toria e un grido d’aiuto, da destra giungeva una donna con un cane. Svoltai dunque a destra, per-ché era domenica ed era il mio giorno libero. Il cane mi morse a una coscia e la donna mi urlò isterica di lasciarlo o l’avrei pagata cara. Una volta divincola-tomi dal cane e zoppicato fin nel primo bar, qual-cuno mi diede una bottigliata in testa, pare gli ricor-dassi uno zio. Barcollai fuori dove risultai sgradito a un nero. Una volta che mi ebbe derubato della giacca e dell’arma gli chiesi cos’è che succedeva dall’altra parte dell’incrocio.

«Stanno girando un film,» disse facendo una smorfia, «pare sia un film su quant’è pericoloso qui! Dilettanti! Di certo ci infilano una storia d’amore su motoscafi!»

«Perché proprio su motoscafi?»

«Ho sentito che adesso va di moda.»

Mi venne in mente una cosa.

«Ehi,» mi rivolsi al nero, «se mi restituisci un ventone ti offro un bicchierino!»

L’idea gli piacque e così facemmo dietrofront nel bar dove avevo ricevuto la bottiglia in testa.

«Allora di che si tratta?» chiese subito dopo aver vuotato il bicchierino. «Ti avverto però, benzinai non me ne faccio più!»

«No, non si tratta di benzinai, ma se mi ridai la giacca e la mia pistola, ti do una dritta sicura per oggi pomeriggio…»

«Sputa!»

«Ti prendi due o tre compari e senza dare nel-l’occhio ti mischi alle riprese al di là dell’incrocio…»

«E con questo?»

«Vi comporterete con assoluta naturalezza, come se non ci fosse la cinepresa…»

Gli si illuminarono gli occhi. Incominciò a piacermi, avevo sempre desiderato un compare simile, ma dubitavo che avrebbe lavorato per così poco come me.

«Cos’è che pensi… che durante le riprese potrem-mo farci la cassa e derubare un po’ di persone?»

«Certo, a nessuno sembrerà strano.»

Mi abbracciò. Poi mi restituì le cose e sparì. Arrivai fino a casa, mi sedetti in poltrona e aspettai il com-missario.

«Wlapr, dove sei stato oggi pomeriggio?»

«A passeggio.»

«Mica sei arrivato all’incrocio tra l’ottava e la tredi-cesima?»

«È possibile.»

«Wlapr! Oggi giravano un film là e una qualche banda ha rapinato alcuni tecnici durante le riprese! Scommetto che c’entri qualcosa! Una simile idea a quei ragazzi dell’ottava non gli sarebbe venuta in mente.»

Sollevai le spalle.

«Cioè, Wlapr, tanto di cappello. È stato perfetto! Sembra addirittura ci sia cascato anche il regista. Quando quei ragazzi hanno svuotato una cassa del grande magazzino, in qualche modo non era sod-disfatto e a causa dell’inquadratura gliel’ha fatto ripetere.»

«E loro?»

«Sono tornati indietro tranquillamente e l’hanno rifatto secondo le sue istruzioni, ma a nessuno della troupe è sembrato strano che svuotassero la cassa accanto.»

«Chiaro, la prima era già vuota.»

«Precisamente.»

«Com’è finita?»

«Normalmente come nei film… hanno rubato una auto davanti alla cinepresa e sono spariti.»

Mi venne da abbozzare un sorriso.

«Wlapr! Ammettilo!»

Il commissario si chinò verso di me.

«Non lo dirò a nessuno, sono le cinque e comunque ho finito il servizio e per di più compete a un altro distretto…»

Ci conoscevamo da lungo tempo, così annuii.

«Santo cielo! Wlapr, ma perché hai dato istruzioni a quei ragazzi? Non prenderai una provvigione da loro?»

«No, mi è venuto in mente del tutto gratuitamente.»

«Ma perché? Ci dovrà pur essere dietro qualcosa!»

«Non sopporto i film che finiscono bene e per giun-ta su motoscafi.»

Případ čtrnáctý

Stál jsem na křižovatce. Zleva zaznívala střelba a volání o pomoc, zprava přicházela nějaká ženská se psem. Zahnul jsem proto doprava, protože byla neděle a já měl volno. Pes se mi zakousl do stehna a žena na mě hystericky volala, ať ho nechám, nebo si to odskáču. Když jsem psa setřásl a dokulhal do prvního baru, praštil mě kdosi flaškou po hlavě, prej že mu připomínám strýce. Vypotácel jsem se ven, kde jsem se nezlíbil jakémusi černochovi. Když mě obral o sako a zbraň, zeptal jsem se ho, cože se to děje na druhé straně křižovatky.

o

- Natáčejí tam nějaký film, řekl a ušklíbl se, – prej to má být film o tom, jak je to tady nebezpečno! Žabaři! Určitě do toho nacpou nějakej zamilovanej příběh na motorových člunech!

- Proč zrovna na motorových člunech?

- Slyšel jsem, že je to teď v módě.

Cosi mě napadlo.

- Hele, oslovil jsem černocha, – když mi vrátíš dvacku, pozvu tě na panáka!

Nápad se mu líbil, a tak jsme to otočili zpátky do baru, kde jsem dostal flašku do hlavy.

- Tak o co jde? zeptal se hned potom, co do sebe hodil skleničku, – musím tě ale varovat, benzinky už nedělám!

- Ne, o benzinky nejde, ale když mi vrátíš sako a mou zbraň, dám ti tutovej tip na dnešní odpoledne…

- Povídej!

- Vezmeš dva tři kámoše a nenápadně se přichomítnete k tomu natáčení za křižovatkou…

-Co z toho?

-Budete se chovat naprosto přirozeně, jako by tam nebyla kamera…

Zablýsklo se mu v očích. Začínal se mi líbit, takového parťáka jsem si vždycky přál, ale pochyboval jsem, že by dělal za tak málo peněz jako já.

- To jako myslíš…, že bysme mohli klidně v rámci natáčení udělat nějakou tu kasu a obrat pár lidí?

- Jasně, nikomu to nebude nápadný.

Objal mě. Potom mi vrátil věci a zmizel. Došel jsem domů, posadil se do křesla a čekal na komisaře.

o

- Wlapr! Kdes byl dnes odpoledne!

- Na procházce.

- Žes došel až na křižovatku osmé a třinácté?

o

- Možné to je.

- Wlapr! Dnes se tam natáčel film a nějaká parta v rámci natáčení obrala pár neherců! Vsadím se, že v tom jedeš! Takovej nápad by ti hoši z osmé sami nevymysleli.

o

Pokrčil jsem rameny.

- Teda Wlapr, klobouk dolů. Bylo to dokonalé! Dokonce prej i režisér naletěl. Když ti hoši vybírali kasu v obchoďáku, nějak se mu to nezdálo a kvůli záběru je to nechal opakovat.

o

- Co oni?

- Klidně se vrátili a udělali to podle jeho pokynů ještě jednou, ale nikomu ze štábu nepřišlo divný, že vybrali vedlejší.

o

- Jasně ta první už byla prázdná.

- Přesně.

- Jak to skončilo?

- Normálně jako ve filmu… ukradli před kamerou auťák a zmizeli.

Musel jsem se usmát.

- Wlapr! Přiznej se!

Komisař se ke mně naklonil.

- Nikomu to neřeknu, je pět hodin a mám stejně po službě a navíc to patří do cizího okrsku…

o

Znali jsme se dlouho, a tak jsem kývl.

Kruci! Wlapr, ale proč jsi ty kluky navedl? Snad si od nich nevezmeš provizi?

o

- Ne, napadlo mě to docela zadarmo.

- Ake proč? Něco za tím přece muselo být!

- Nesnáším filmy, které končí dobře a navíc na motorových člunech.

Jak zalichotit tlusté ženě (1996)

Come adulare una donna grassa

Facciamo incetta di tutti i libri disponibili sul barocco, ritagliamone le immagini e con esse tappezziamo il gabinetto.  Poi invitiamo a casa una donna grassa.  Apriamo una bottiglia di vino rosso e versiamogliene finché non va in gabinetto.

Al suo ritorno avremo l’immediata percezione di quanto si senta adulata.

Jak zalichotit tlusté ženě

Skoupíme všechny dostupné knihy o baroku, vy-stříháme z nich obrázky a vylepíme jimi záchod. Po-tom pozveme tlustou ženu na návštěvu. Otevřeme láhev červeného vína a naléváme jí tak dlouho, až odejde na záchod.

Po jejím příchodu okamžitě vycítíme, jak je policho-cena.

Come sventolare una bandiera, urlare e non vergognarsi facendolo

Non so come mai, in vita mia ho vissuto alcune ma-nifestazioni durante le quali dovevo urlare attiva-mente e ogni volta mi sono vergognato tremenda-mente. Incominciò con “L’evviva” comunista. Ero un piccolo pioniere, ma già allora piuttosto bisbigliavo oppure aprivo solo la bocca. Mi ricordo quanto am-mirassi i miei compagni cui dava evidente gioia il poter urlare a squarciagola per strada. Poi trascor-sero alcuni anni nei quali fui giusto capace di firmare alcune petizioni di protesta, questo non mi diede fastidio, e giunse l’anno ’89 e la gente uscì in strada e io mi dissi che dovevo andarci anch’io, che non potevo mica rimanere a casa, e così andai. Mi intrufolai in un corteo di gente ebbra di gioia e at-tesi. All’inizio andò bene, le persone si scambiavano solo impressioni tra di loro, ma poi ecco, qualcuno iniziò a urlare e quell’ondata avanzava verso di me. Rabbrividii. Quando iniziarono ad urlare i miei vicini più prossimi debolmente ci provai due volte e umiliato abbandonai il corteo. Mi fu chiaro che non sarei mai diventato un rivoluzionario. Me ne andai all’osteria con l’aspetto di un cane bagnato.

Dopo la seconda birra mi venne in mente una cosa: per tutto ci vuole allenamento! Rincasai e per strada comprai una bandiera, non so più cosa dovesse rappresentare. Non m’importava. L’avevo presa solo come un accessorio da allenamento. A casa mi chiusi in cantina e strillai ad alta voce. All’inizio non andava, ma non mi arrendevo: mi al-lenai ogni giorno, sempre quando i vicini andavano al lavoro e i risultati incominciarono gradualmente ad arrivare. Sferzavo la bandiera sempre più velo-cemente e la voce si invigoriva. Quando alla conclu-sione di un giorno d’allenamento sfondai furibondo la porta con un calcio, mi fu chiaro di essere pronto e di poter uscire in strada.

Era appena terminato un incontro calcistico e gio-vani esaltati si riversarono nelle strade. Agguantai la mia bandiera, mi unii a loro anche se il calcio non mi aveva mai interessato e nemmeno sapevo chi avesse vinto e… fui assolutamente il migliore! Me ne resi conto immediatamente al mio primo urlo. Tutti si azzittirono e si girarono.

“Addossoooooo!” strillai di nuovo agitando la ban-diera. Si univano, anche se un po’ imbronciati per-ché li sovrastavo ogni volta. Alla fine mi sembrò che alcuni individui deboli che non riuscivano a farsi no-tare dalla gente, coperti dalle mie urla abbandonas-sero il corteo e si ritirassero infuriati e umiliati nelle osterie. Trionfai. Il giorno dopo presi parte a una manifestazione presso un qualche monumento, non sapevo chi fosse cosa, ma di nuovo le mie urla sovrastarono tutti. Urlai talmente tanto che non si riusciva più nemmeno a sentire l’oratore e quando arrivò la polizia scoppiarono loro i pneumatici delle auto e non mi poterono portare al comando.

La mia stella assurse così vertiginosamente che di certo sarei finito a fare il solista d’opera, non fosse stato per una ragazza che mi disse che sembravo scemo, e così incominciai di nuovo a vergognarmi.

Jak mávat praporem, křičet a nestydět se při tom

Nevím, čím to je, zažil jsem za svůj život několik demonstrací, při kterých jsem musel aktivně řvát, a pokaždé jsem se u toho hrozně styděl. Začínalo to komunistickým provoláváním „Sláva“. Byl jsem ma-lým pionýrem, ale už tehdy jsem spíše jen šeptal anebo pouze otvíral ústa. Pamatuji se, jak jsem ob-divoval spolužáky, kterým dělalo očividně radost, že si mohou na ulici zařvat. Potom proběhlo několik let, kdy jsem byl schopen tak akorát podepsat různé protestní petice , to mi tak nevadilo, a nastal rok ’89 a lid vyšel do ulic a já si řekl, že tam musím jít taky, že přece nemůžu zůstat doma, a tak jsem šel. Vetřel jsem se do průvodu rozjařených lidí a vyčkával. Napřed to bylo dobré , lidé si jen mezi sebou sdělovali dojmy, ale potom to přišlo, kdosi začal křičet a ta vlna postupovala ke mně. Roztřásl jsem se. Když začali řvát moji bezprostřední sousedi, dvakrát jsem to slabounce zkusil a zahanbeně opustil průvod. Bylo mi jasné, že ze mě revolucionář nikdy nebude. Odešel jsem do hospody a připadal si jako zbabělá krysa.

o

Po druhém pivu mě něco napadlo – všechno se musí trénovat! Odebral jsem se domů a po cestě si koupil prapor, už nevím, co měl symbolizovat. Bylo mi to jedno. Já ho bral jen jako maketu k tréninku. Doma jsem se zavřel ve sklepě a zkusil tím praporem pyšně mávnout a hlasitě zařvat. Zprvu to nebylo ono, ale nevzdával jsem se: trénoval jsem každý den, vždy když sousedi odešli do práce, a výsledky se začaly postupně dostavovat. Praporem jsem švihal čím dál rychleji a hlas mi mohutněl. Když jsem na závěr jednoho tréninkového dne furiantsky rozkopl dveře, bylo mi jasné, že jsem připraven a že můžu do ulic.

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Zrovna končil jakýsi fotbalový zápas a nadšení mladí lidé vyrazili do ulic. Chytil jsem svůj prapor, přidal se k nim, i když jsem se o fotbal nikdy nezajímal a ani jsem nevěděl, kdo vyhrál, a… byl jsem absolutně nejlepší! Uvědomil jsem si to okamžitě po svém prvním zařvání. Všichni zmlkli a otočili se.

„Na něéé!“ zařval jsem znovu a zamával praporem. Přidávali se, i když trochu zaraženě, protože jsem je pokaždé přeřval. Dokonce se mi zdálo, že někteří slabší jedinci, kteří na sebe přes mé řvaní nemohli vůbec upozornit normální lidi, opouštějí naštvaně průvod a vytrácejí se hanebně do hospod. Triumfoval jsem. Na druhý den jsem se zúčastnil nějaké demonstrace u jakéhosi pomníku, nevěděl jsem, kdo je kdo, ale opět jsem všechny přeřval. Řval jsem tak, že nebylo slyšet ani řečníka, a když přijela policie, popraskaly jí pneumatiky a nemohla mě odvézt na stanici.

o

Moje hvězda stoupala tak závratně, že bych určitě skončil jako operní sólista, nebýt jedné hezké dívky, která mi řekla, že vypadám jako blbec, a tak jsem se začal zase stydět.

Pascolare

Un tempo ho pascolato le capre. O almeno cammi-navo giusto così accanto a loro riflettendo in cosa consistesse il pascolare. Le capre mangiavano l’er-ba, andavano qua e là, agitavano le code. Lo face-vano sempre di continuo, che gli stessi a destra o a sinistra o che stessi, come si vede sui libri, seduto su un lato.

«Non è mica possibile che io sia così gonzo e non ci arrivi!»

Andai pure a consigliarmi con il vecchio Jiří:

«Jiří, quand’eri giovane allora pascolavi, è vero?»

«Sì.»

«E come facevi?»

«Be’, sai, io non è che pascolassi così tanto, piuttosto correvo dietro alle donne.»

«Bene, allora quando non inseguivi le donne, pa-scolavi, no?»

«Be’, sai, quando non correvo dietro alle donne allora intagliavo un flauto.»

«Bene, allora quando non correvi dietro alle donne, né intagliavi il flauto, allora pascolavi, eh?»

«Sì, pascolavo.»

«E in cosa consisteva?»

«Nel non correre dietro alle donne e non intagliare il flauto.»

«E questo è pascolare?»

Ci pensai su.

«Conosci Heidegger?»

«No, non lo conosco.»

«È strano, lui è arrivato a questa conclusione esat-tamente nello stesso modo.»

«Anche lui non correva dietro alle donne e non inta-gliava un flauto?»

«Anche lui.»

Jiří ci pensò su.

«Ora sai cos’è pascolare?»

«Sì. Oggi in effetti ho pascolato.»

«Non sei corso dietro alle donne e non hai intaglia-to un flauto?»

«No.»

«Allora hai pascolato.»

Pasení

Když jsem pásl kozy. Teda spíš jsem jen tak kolem nich chodil a přemýšlel, v čem to pasení spočívá. Kozy žraly trávu, popocházely, mrskaly ocasy. Dělaly to pořád dokola, ať jsem stál od nich napravo či nalevo, anebo jsem si, jak jsem to vídával v kníž-kách, sedl na mez.

o

„Přece není možné, abych byl takový hňup a nepři-šel na to!“

I zašel jsem na radu ke starému Jiřímu:

„Jiří, když jsi býval mladý, tak jsi pásl, je to pravda?“

„Je.“

„A jak jsi to dělal?“

„No, víš, já jsem ani tak moc nepásl, já spíše honil ženské.“

„Dobře, ale když jsi nehonil ženské, tak jsi pásl, ne?“

„No, víš, když jsem nehonil ženské, tak jsem si strouhal píšťalku.“

,,Dobře, ale když jsi nehonil ženské ani nestrouhal píšťalku, tak jsi pásl, že jo?“

„To jo, to jsem pásl.“

,,A v čem to spočívalo?“

„Nehonil jsem ženské a nestrouhal píšťalku.“

o

„A to je pasení?“

Zamyslel jsem se.

„Znáš Heideggera?“

„Ne, neznám.“

„To je divné, ten na to šel úplně stejně.“

o

„Taky nehonil ženské a nestrouhal píšťalku?“

o

„Taky.“

Jiří se zamyslel.

„Teď už víš, co je to pasení?“

„Vím. Dnes jsem vlastně pásl.“

„Nehonil jsi ženské a ani jsi nestrouhal píšťalku?“

o

„Ne.“

„Tak to jsi pásl.“

POESIE

Kdyby byl krtek velkej jako prase (1997)

Già mi pregusto

quando stasera farò un salto in centro
mi siederò al bar
guarderò le donne
sbevazzerò
farò cenno ai conoscenti
e poi non mi ricorderò più niente

Už se těším

až večer zajdu do města
sednu si k baru
budu koukat po ženských
popíjet
kynout známým
a potom si nebudu nic pamatovat

Vigliaccheria

però gli indiani se sapevano fermare un treno!
sradicavano i binari
uccidevano i passeggeri
e si accendevano tranquillamente un fuoco
io invece?
mollaccione con la pancetta
nemmeno il freno a mano riesco a tirare

Zbabělost

teda ti Indiáni uměli ale zastavit vlak!
vytrhali koleje
zabili cestující
a klidně si rozdělali oheň
kdežto já?
slaboch s bříškem
ani za tu ruční brzdo nezatáhnu

Eroe

il vento è un fesso
lo dico del tutto apertamente
papale papale
anche se so
che con questo non rischio
quasi niente

Hrdina

vítr je trdlo
říkám to naprosto otevřeně
a na rovinu
i když vím
že tím skoro nic
neriskuju

Segni

piedi scalzi indicano umiltà
naso rosso un bevitore
pancia grossa la famiglia
e un posto vuoto nel parcheggio
un’auto rubata

Znamení

bosé nohy znamenají pokoru
červený nos pijáka
velký pupek rodinu
a prázdné místo na parkovišti
ukradené auto

Mattina

si avvicinò a me
era gigantesco, con la barba e ubriaco
«ho paura di andare a casa» disse
bevo tutta la notte qui
e la mattina ho perso da qualche parte un dente
guarda…

Ráno

přistoupil ke mně
byl ohromnej, s vousama a opilej
- bojím se domů, řekl
celou noc tady piju a ráno jsem někde ztratil zub
podívej…

Lui

devo tollerarlo
abita infatti lo stesso corpo
che abito io
e continua a rinfacciarmi
tutto ciò che ho sputtanato
chi ho deluso
ecc
ma so comunque che non ha ragione
e che alla fine diventeremo amici
perché giusto ora sto andando a comprargli
un bicchierino

On

musím ho tolerovat
obývá totiž stejné tělo
jako já
a pořád mi vyčítá
co všechno jsem podělal
koho zklamal
atd.
ale já stejně vím
že nemá pravdu
a že se nakonec skamarádíme
protože mu právě jdu koupit panáka

Poco tempo

ciò che ci resta
è tremendamente buffo:
amore
elezioni
sigarette
vino
libri
e la sensazione
che non faremo in tempo a far tutto

Málo času

to, co nám zbývá
je strašně legrační:
láska
volby
cigarety
víno
knížky
a pocit
že to všechno asi nestihneme