L’ombra della felce
di Josef Čapek
Traduzione di Davide Sormani
Formato: 11,5 x 19,5
144 pagine
Prezzo: € 10,20
Sconto -15% (Prezzo di copertina € 12,00)
Anno di pubblicazione: 2007
ISBN: 978-88-902274-2-4
Il libro
Novella che racconta una storia di delitto e castigo, L’ombra della felce è un’opera che mescola in modo riuscito epica e meditazione. La fuga che deve portare alla salvezza si trasforma in un incubo, il luogo di salvezza diventa un inestricabile labirinto. La riflessione sull’uomo e sulle imprevedibili conseguenze delle sue azioni accompagna tutta la vicenda.
L’elemento naturale è un’altra presenza costante. Una natura che crediamo amica, ma che si può rivelare ostile. Ci sono molti motivi tratti dalle ballate popolari.
Uomini dagli istinti animali, spettri, donne simili a ninfe, queste sono le creature che popolano il bosco e le menti dei protagonisti. Azioni spregiudicate e insistenti rimorsi, tutto è immerso in una natura possente che suscita ammirazione e amore per la sua bellezza, ma anche paura e rispetto.
L’autore
Josef Čapek (Hronov 1887- Bergen-Belsen 1945)
Visti i cattivi risultati alla scuola di tessitura viene destinato al lavoro in fabbrica e poi (nel 1904) allo studio presso la Scuola di Arti Applicate di Praga. Nel 1907 anche la famiglia si trasferisce a Praga e Josef comincia a scrivere assieme al fratello Karel. Nascono in quegli anni i racconti giovanili di Krakonošova zahrada [ Il giardino di Krakonoš ] e Zářivé hlubiny [ Abissi splendenti ] oltre alla pièce Lásky hra osudná [Un fatal gioco d'amore ], tutti influenzati dall’art nouveau (ma in Abissi splendenti Josef sperimenta in alcuni racconti i principi del cubismo).
Tornato a Praga dopo un soggiorno a Parigi (1910-11) diventa una delle figure centrali dell’avanguardia ceca (orientata verso il cubismo) ed entra a far parte prima della Skupina vytvárných umělců [Gruppo degli artisti figurativi] e poi del Mánes (associazione di artisti cechi che prende il nome da una famiglia di noti pittori dell ’800), svolgendo anche il ruolo di redattore delle riviste dei due gruppi. Espulso dal Mánes scrive la sua prima raccolta (espressionista) di racconti, Lelio , in cui si riflettono la sua condizione di isolamento e l’atmosfera della guerra.
Dopo il conflitto fonda assieme ai pittori Špála e Zrzavý la Skupina Tvrdošíjných [Gruppo dei testardi] e comincia a collaborare prima con il quotidiano Národní listy [ I fogli nazionali ], poi con il più filo-masarykiano Lidové noviny [ Le notizie del popolo ]. Nel 1923 pubblica la seconda raccolta di racconti Pro delfina [Ad uso del delfino], nella quale l ‘ atmosfera è più distesa e il rapporto con il mondo non è più così conflittuale.
Negli anni ‘ 20 ritorna anche al teatro da solo e con il fratello Karel, il noto scrittore (scrive con lui diverse pièces e inventa per lui la parola robot , utilizzata nel dramma R.U.R. Il neologismo deriva dalla parola robota , il lavoro coatto che nel sistema feudale i servi della gleba dovevano prestare nelle proprietà degli aristocratici). In quel periodo inizia a scrivere anche racconti per bambini che venivano pubblicati sui quotidiani e furono poi riuniti in due diverse raccolte.
La sua opera letteraria più importante è Stín kapradiny [ L'ombra della felce ] per la quale riceve il premio di stato per la letteratura. Si tratta di una storia di « delitto e castigo » , dove i motivi tratti dalle ballate popolari e la riflessione filosofica sui destini degli uomini rivestono un ruolo di grande rilievo.
L’inclinazione alla speculazione filosofica è evidente nelle successive opere (anche pittoriche) di Čapek: Kulhavý poutník [ Il pellegrino zoppo ], testo legato al motivo del pellegrinaggio e del viaggio (motivo molto importante nella letteratura ceca, basti pensare al Labirinto del mondo di Comenio), e Psáno do mraků [ Scritto alle nuvole ], raccolta di aforismi scritti tra il ‘ 36 e il ‘ 39.
Arrestato dalla Gestapo il 1 settembre 1939 per la sua attività giornalistica antinazista, scrive la sua ultima opera in campo di concentramento: una serie di poesie riunite dal poeta Vladimír Holan dopo la guerra nella raccolta Básně z koncentračního tábora [ Poesie dal campo di concentramento ]. Il tema centrale è la libertà, se non fisica almeno spirituale.
Josef Čapek muore in campo di concentramento nell’aprile del 1945, probabilmente a causa di un’epidemia di tifo. La sua opera pittorica è una tra le più originali dell’avanguardia ceca della prima metà del ’900 e la sua attività di scrittore, spesso messa in ombra dalla sua stessa opera pittorica e dall’opera letteraria del fratello, resta imprescindibile. Čapek è un autore a suo agio sia nella pittura che nella letteratura. I suoi tentativi di applicare correnti artistiche e generi letterari anche molto diversi tra loro sono sempre legati ad un ‘ interpretazione molto personale.
[D. S.]
Bibliografia
Opere di Josef Čapek
(la traduzione dei titoli è nostra [con l'eccezione di Scritto alle nuvole] dal momento che ad oggi nessuna opera di Josef Čapek è stata interamente tradotta e pubblicata in italiano):
Fratelli Čapek (Bratři Čapkové in ceco), Zářivé hlubiny a jiné prózy , Praha, Fr. Borovský, 1916.
[ Abissi splendenti e altre prose ]
Lelio , Praha, Kamila Neumannová, 1917.
[ Lelio . È il titolo del primo racconto. È un riferimento ad un componimento di Berlioz ]
Fratelli Čapek: Krakonošova zahrada , Praha, Fr. Borovský, 1918.
[ Il giardino di Krakonoš ]
Nejskromnější umění , Praha, Aventinum, 1920.
[ L ' arte più umile . Raccolta di articoli sulle arti popolari ed applicate]
Fratelli Čapek, Ze života hmyzu , Praha, Aventinum, 1921.
[ Dalla vita degli insetti . Dramma scritto a quattro mani col fratello.]
Fratelli Čapek, Lásky hra osudná , Praha, Aventinum, 1922.
[ Un fatal gioco d ' amore ]
Země mnoha jmen , Praha, Aventinum, 1923.
[ La terra dai molti nomi ]
Pro delfína , Petrkov, Bohuslav Reynek, 1923.
[ Ad uso del delfino ]
Málo o mnohém , Praha, Aventinum, 1923.
[ Poco su molto . Raccolta di articoli di giornale che Čapek scrisse sugli argomenti più disparati ]
Umělý člověk , Praha, Aventinum, 1924.
[ L ' uomo artificiale ]
Fratelli Čapek, Adam stvořitel , Praha, Aventinum, 1927.
[ Adamo creatore . Pièce scritta assieme al fratello.]
Ledacos , Praha, Aventinum, 1928.
[ Un po ' di tutto . Altra raccolta di articoli di giornale su vari argomenti d ' attualità]
Povídání o pejskovi a kočičce , Praha, Aventinum, 1929.
[ I racconti sul cagnolino e la gattina ]
Stín kapradiny , Praha, Aventinum, 1930.
[ L ' ombra della felce ]
Dobře to dopadlo aneb tlustý pradědeček, lupiči a detektivové , Praha, Fr. Borovský, 1932.
[ E ' andata a finire bene ovvero il grasso bisnonno, i ladroni e i detectives ]
Kulhavý poutník , Praha, Fr. Borovský, 1936.
[ Il pellegrino zoppo ]
Diletantská povídka , Praha, Klub nakladatelů Kmen, 1937.
[ Un racconto dilettantistico . Analisi di un racconto dilettantistico animata dallo stesso amore che troviamo negli articoli sulle arti applicate e sull 'arte popolare ]
Umění přírodních národů , Praha, Fr. Borovský, 1938.
[ L ' arte dei popoli naturali . Studio sull ' arte dei popoli di Africa, America e Oceania]
Co má člověk z umění , Praha, Umělecká beseda, 1946.
[ Che cosa dà l ' arte all ' uomo . Raccolta di articoli sull ' arte]
Básně z koncentračního tábora , Praha, Fr. Borovský, 1946.
[ Poesie dal campo di concentramento ]
Psáno do mraků , Praha, Fr. Borovský 1947.
In italiano ne è uscito un estratto: Scritto alle nuvole , a cura di S. Corduas, trad. di N. Bengala. In « In forma di parole», 1984, anno quinto, numero terzo, pp. 277-284.
Povídejme si, děti , Praha, Státní nakladatelství dětské knihy, 1954.
[ Chiacchieriamo un po ' , bambini ]
Fratelli Čapek, Krakonošova zahrada. Zářivé hlubiny a jiné prózy. Juvenilie , Praha, Československý spisovatel, 1957.
[ Il giardino di Krakonoš. Abissi splendenti e altre prose. Racconti giovanili . Rispetto alle altre edizioni contiene anche alcuni racconti che i fratelli Čapek avevano scartato e che furono qui pubblicati per la prima volta ]
Bibliografia scelta su Josef Čapek:
AA.VV., Josef Čapek a kniha , Brno, Moravská galerie, 1974.
[ Josef Čapek e il libro . Interessante pubblicazione sulle copertine di libri elaborate graficamente da Josef Čapek]
Langer František, Knižní obálky Josefa Čapka , Praha, Státní grafická škola, 1934.
[ Le copertine di Josef Čapek ]
Opelík, Jiří, Josef Čapek , Praha, Melantrich, 1980.
[Importante monografia su Josef Čapek, si concentra soprattutto sulla sua attività letteraria]
Mareš, Petr, Styl, text, smysl: o slovesném díle Josefa Čapka . Praha, Univerzita Karlova, 1989.
[ Lo stile, il testo, il senso: sull ' opera verbale di Josef Čapek ]
Mareš, Petr, Publicistika Josefa Čapka , Praha, Karolinum, 1995.
[ La pubblicistica di Josef Čapek ]
Pečínková, Pavla, Josef Čapek , Praha, Svoboda, 1995.
Slavík, Jaroslav a Opelík, Jiří, Josef Čapek , Praha, Torst, 1996.
[La più recente e completa monografia su Čapek, contiene molte illustrazioni e si occupa anche del suo percorso di pittore, grafico e scenografo]
Čapková, Jarmila, Vzpomínky , Praha, Torst, 1998.
[ Ricordi . Ricordi della moglie di Josef Čapek]
Bibliografia in italiano su Josef Čapek:
Parenti, L., Karel e Josef Čapek . In « Stilb » , 1982, 2, n. 8, pp.78-79.
Šmejkal, F., Čapek Josef . In Futurismo e futurismi , a cura di P. Holten, Milano, Bompiani, 1986, p. 440.
Recensione a: J. Čapek, Oheň a touha , Praha, Odeon, 1980; Dvojí osud [Dopisy J. Čapka Jarmile Pospíšilové], Praha, Odeon, 1980, e a: J. Opelík, Josef Čapek , Praha, Melantrich, 1980, di J. Křesálková, in Ricerche slavistiche, 1982-1984, XXIX-XXXI, pp. 373-374.
Recensioni
di Massimo Tria
eSamizdat 2009 (VII) 1, p. 317-320
Possiamo supporre e ben sperare che all’appassionato di letteratura europea non sia estraneo per lo meno il nome di Karel Čapek, rappresentante straordinario della cultura cecoslovacca della prima metà del ventesimo secolo. Numerose sono le traduzioni in italiano delle sue opere, e fa parte dell’armamentario classico della boemistica di base il collegamento del suo nome a quello dei “robot”, creature a cui diede cittadinanza ufficiale nella cultura moderna proprio grazie a un suo dramma antiutopico messo in scena nel 1921,R.U.R. (Rossum’s Universal Robots). Ebbene, pochi fra i non addetti ai lavori sanno però che il grande drammaturgo, romanziere e giornalista Karel aveva un fratello dall’importanza per niente trascurabile, Josef, che fra l’altro figura essere proprio l’inventore del nome che ha poi fatto breccia nella fantascienza di tutto il mondo (per la cronaca “robot” deriva dal termine ceco che definisce la corvée gratuita, ovvero in genere il lavoro servile).
Se approfondiamo l’analisi a un altro livello, arrivando ai conoscitori medi della cultura cecoslovacca che abbiano almeno un sentore della ricchezza della sua produzione figurativa, il nome in questione, quello del fratello maggiore Josef Čapek, sarà comunque probabilmente più noto per la ricca messe di tele che partono da ispirazioni moderniste e cubiste sul finire degli anni Dieci del ventesimo secolo per poi attraversare varie fasi e periodi di ispirazione anche disomogenei. Alcuni dei suoi quadri fanno sicuramente parte del patrimonio più importante della pittura ceca, e la bella mostra con ricco catalogo organizzata qualche anno fa nella Casa municipale a Praga ha riconsacrato (sempre che ce ne fosse bisogno) il nome e la figura di questo Čapek “minore” (era comunque il fratello più anziano) almeno nella cultura e coscienza visiva della nuova Repubblica ceca.
Se si esclude Scritto alle nuvole, raccolta di aforismi pubblicata postuma dopo la sua morte in campo di concentramento e uscita in parte su una rivista italiana, l’anno scorso la casa editrice di letteratura ceca Poldi libri aveva in sostanza inaugurato la riscoperta italiana dell’autore, cominciando appunto dal versante pittorico: si veda Azzurro cielo, serie di minuti e teneri abbozzi di poesia per bambini scritti dal poeta František Hrubín a commento di altrettante tavole di Josef Čapek dedicate alla propria bambina.
Per arrivare finalmente al libro in questione e dunque al versante letterario dell’opera del suo autore, diciamo che L’ombra della felce rappresenta solo un aspetto di un mondo ricchissimo e tutto da esplorare della produzione di Čapek. Egli inizia a scrivere opere a quattro mani con il più noto fratello e si tratta per lo più di racconti che risentono dell’atmosfera dei vari modernismi europei di inizio XX secolo: si va dal vitalismo che riscopre le bellezze della natura e della semplicità quotidiana, all’espressionismo più cupo e scettico, al cubismo di racconti sfaccettati in un’alternarsi di punti di vista a tratti anche altamente drammatici. È ovvio che in alcune delle sue prove letterarie Josef Čapek arricchisse il testo di illustrazioni di proprio pugno, portando a compimento allo stesso tempo i suoi due talenti maggiori (ma egli fu anche giornalista, saggista e poeta). In quest’ottica dunque (letteratura per l’infanzia, unione di disegni e narrazione) va almeno citato uno dei libri più popolari di J. Čapek, I racconti su un cagnolino e una gattina, gustosa serie di aneddoti su due animali domestici impegnati in varie avventure, che ha sempre goduto di grande fama e seguito fra i piccoli delle terre ceche (ecco un altro consiglio per i bravi e non scontati editori della Poldi libri…). Quello dell’Ombra della felce invece, è tutto un altro mondo, ovvero è il “lato oscuro” del mondo di Čapek. Il lato enigmatico, fatalista e tenebroso del suo universo creativo, che si ricollega alla tradizione della letteratura “brigantesca” del centro Europa (Schiller, Mácha, magari anche Walser…) e alle ballate da fiera dedicate ad avvenimenti cruenti e sensazionali. Va ricordato anche che questo interesse per i generi bassi e marginali si concentra poi in particolare in una raccolta čapkiana di saggi fra le più interessanti dell’epoca, Nejskromnější umění [L’arte più umile, 1920] in cui egli rileva e loda la naturale creatività degli artisti popolari, lontani dalle scuole accademiche e capaci di affermare un robusto e terragno senso estetico anche al di fuori del campo dell’arte tradizionalmente intesa (insegne di botteghe, giocattoli, foto di famiglia, arte naïve…).
L’ombra della felce è anch’essa frutto di una commistione di gusto popolare “da fiera” e di echi fatalisti del romanticismo ottocentesco, ma anche di soggettività autobiografica e di critica alla società borghese smunta e calcolatrice (in questo fa il paio con Marketa Lazarová di Vladislav Vančura). È sostanzialmente la semplice storia di un omicidio e di una fuga: due bracconieri sventati e immaturi uccidono un guardiacaccia e si avventurano in una corsa senza meta nel bosco boemo. La forte espressività visiva della pagina fa venire in mente immagini di un’altra fuga importante dell’arte ceca, quella dei due ebrei fuggiaschi nel capolavoro di Jan Němec I diamanti della notte (1964), film in cui i due giovani attraversano anch’essi una foresta enigmatica e misteriosa, immersi in un chiaroscuro unheimlich con citazioni surrealiste. L’introduzione del curatore e traduttore Davide Sormani è puntuale e funzionale, e ben inquadra la figura dell’autore in questione; sfruttiamo volentieri un’osservazione in particolare: “La natura […] è descritta con sguardo affascinato e padronanza di linguaggio fuori dal comune, tanto da ricordare ad Angelo Maria Ripellino gli erbari” (p. 13 dell’introduzione). Fra le decine di termini botanici in cui l’autore si immerge amorosamente va notato soprattutto, a pagina 117, il farfaraccio, ovvero il simbolico devětsil, il cui nome proprio Čapek assegnò al gruppo artistico prima proletario, poi poetista dei giovani avanguardisti cechi. Per il traduttore non dev’essere stato lapalissiano ritrovare gli equivalenti italiani delle piante snocciolate con cura da botanico provetto e con certosina insistenza in alcuni passaggi descrittivi, e altrettanto impegnativa è stata certamente la ricerca del tono adeguato che rendesse un testo volutamente evocativo e lirico, da sanguinosa ballata mista a numerosi passaggi riflessivi. Sormani fa bene a indirizzare la sua traduzione in binari “retro” e a usare inversioni e un linguaggio inconsueto, a tratti altisonante. La traduzione italiana può quindi sembrare a tratti quasi stravagante, ma a un controllo più attento il suo tono si può spiegare in buona parte con l’atipicità (è non è detto che sia un deficit) di un tale libro che nel ventunesimo secolo ormai più che avanzato si distingue anche in ambito ceco per connotazioni antirealistiche e marcatezza linguistica. L’ombra della felce è un testo scritto sul finire degli anni Venti del secolo scorso, dunque arriva con un’ottantina di anni di ritardo in unmilieu culturale, quello nostro europeo, che ha conosciuto avanguardie, contro-avanguardie e sperimentazioni di tutti i tipi. Per di più già allora il libro “si guardava” volontariamente indietro: l’impressione primaria, leggendo la fuga dei due bracconieri Václav Kala e Rudolf Aksamit, è che si venga immersi in un mondo fatto di passioni quasi primordiali, che non ha ancora conosciuto industrializzazione, inurbazione e civilizzazione borghese. Gli uomini di Čapek sono poco più che un bassorilievo che si sta ancora staccando dal fondo indistinto di una natura ferale e cruenta.
Le invocazioni dirette a luoghi ed entità si alternano con le apostrofi di stampo fatico al lettore e ancora con divagazioni filosofiche del narratore, mentre il discorso psicologico e il flusso mentale dei due protagonisti ci guidano nel loro agitato mondo interiore fatto di sogni, passioni quasi bestiali e desiderio istintivo di salvezza. Leggendo si incontrano dunque picchi di estasi estetica: “‘Tu, bel bosco, bosco grande e odoroso, tu, bel bosco cecoslovacco!’, si gode Ruda Aksamit quell’alluvione di verde perpendicolare, orizzontale e obliquo” (p. 28), o ancora “Negli occhi aperti penetrò come un diluvio lo splendore del paesaggio” (p. 83); ma anche attimi di terrore primitivo e disperazione esistenziale: “è proprio come il richiamo mostruoso di un qualche selvaggio animale degno di una caccia e di un inseguimento, quello che viene fuori da questo pazzo di Vašek […] per la miseria, che rumore infame, che doloroso gracchiare, mi sembra un canto dannato in questo bosco maledetto!” (p. 76), o ancora “Ruda si ricordò allora del guardiaboschi ucciso: è lui che probabilmente segue questo avamposto, che coglie quest’occasione per venire a prendersi la sua vendetta” (p. 99).
Qua e là si fa evidente l’educazione visiva dell’autore, in quadri “statici” (quelli di un Vančura per esempio sono invece dinamici, cinematografici) quasi presi in prestito dalle sue tele: “Il gendarme disegna la sua lenta virgola, come se ritagliasse un pezzo di paesaggio lì da quel lato, come se ne assiepasse la porzione migliore lì da quella parte assolata” (p. 65). Sinesteticamente, si potrebbe appunto dire che il testo è dunque volutamente ineguale, scosso, “ruvido al tatto” e intessuto di colori forti e accesi, accostati senza gradualità di sfumature. Dal punto di vista drammatico poi vi si incrociano e semantizzano due opposte trasformazioni: quella del bosco, che da rifugio sicuro e abbondante di magico fascino diventa un nemico minaccioso, e quella dei due protagonisti, che da assassini occasionali (si direbbe oggi: “senza premeditazione”) si trasformano in bestie assetate di prevaricazione. Essi provano a violentare una giovinetta, uccidono ancora nella foga e quasi per disattenzione, rubano a una semplice famiglia di contadini; per loro, dopo il primo, quasi involontario delitto, inizia a valere la legge del più forte, la “legge della giungla”, che in ceco si dice meglio “vlčí zákon”, ovvero appunto “legge dei lupi”. Questa trasformazione da essere sociale in animale egoista si fa cosciente e si rapprende con lucidità da esergo: “non è abbastanza mio ciò che ho, è davvero mio soltanto ciò che prendo a qualcuno […] è mio ciò che prendo a qualcuno, e tutto il resto è solo confusione e incertezza. Ognuno deve badare a se stesso, si sa; ma io la vedo così: dipende da chi è più forte” (p. 49).
Ad ogni modo, pur sottolineando l’importanza della meritoria uscita editoriale, mi sentirei di fare alcuni piccoli appunti: mi chiedo perché, una volta individuata correttamente un’intonazione antimoderna nella lingua di Čapek non si sia usato il “voi”, invece di un “Lei” forse troppo attualizzante. Inoltre non posso non notare alcune scelte traduttorie che avrebbero potuto forse essere più fluide, o avrebbero richiesto (stante appunto la forte connotazione storica del linguaggio adoperato) un ultimissimo controllo e forse una leggera miglioria che distaccasse un po’ di più alcuni giri di frase dall’originale ceco e dalle sue pieghe letterali. A pagina 24: “si vuole proprio mostrare alla gente”; forse meglio “vuole proprio che la gente lo veda”. A pagina 31: “Non ci sono solo Václav Kala e Rudolf Aksamit” per “Mancano soltanto Václav Kala e Rudolf Aksamit”; a pagina 48 “ci siamo dati una bella mano”: forse meglio “abbiamo fatto proprio un bel colpo”; e a pagina 107 “Alla Solitudine del Bosco” più che “solitudine” qui il ceco “Samota” indica un casolare, come nel film di Jiří Menzel Na samotě u lesa [Al casolare vicino al bosco]. Per evitare spiacevoli fraintendimenti: chi scrive queste note non si presume miglior traduttore, ma come recensore si è preso la briga di fare un confronto con l’originale e ha redatto queste osservazioni con imparziale spirito di osservatore.
L’ombra della felce rimane ovviamente, anche nella sua traduzione italiana, un libro di forte impatto e di notevole intensità drammatica.